Sequestro di cannabis light: la Cassazione continua ad affermare che senza analisi disponibili è legittimo il vincolo cautelare

Nota a Cassazione 14 dicembre 2021, n. 45942

Il caso

Le Forze dell’Ordine, all’esito di una perquisizione di un locale commerciale, rinvenivano 36 Kg di infiorescenze di canapa contenute in pacchi costituenti parte di un reso merce di una vendita commerciale effettuata all’estero di complessivi kg 50. I titolari della società esibivano tutta la documentazione contabile, comprese le fatture di vendita della merce contestata. Il Tribunale di Cagliari confermava il decreto di sequestro di tali sostanze, ritenendo che la commercializzazione delle infiorescenze, pur se ottenuta dalla coltivazione di canapa sativa, in quanto destinata a terzi, appare estranea alle ipotesi di cui all’art. 2, comma 2 della legge n. 242 del 2016, con la conseguente violazione dell’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990.

Il problema

Si consolida sempre di più l’indirizzo giurisprudenziale per cui, di fronte al sequestro di infiorescenze di cannabis light, non interessa conoscere se il tenore del THC della merce superi o meno la cosiddetta soglia drogante.

Se è vero che la commercializzazione al pubblico di infiorescenze di cannabis light è comunque vietata, è altresì vero che non può costituire reato la vendita all’ingrosso e, tanto meno, la vendita di fiori che non abbiano in concreto alcuna efficacia drogante (così Cass. S.U. 30475/2019). Tuttavia si mostrano vani, come nel caso in rassegna, i tentativi volti a chiedere il dissequestro della merce evocando l’inoffensività della condotta (perché trattasi di sostanza entro lo 0,5% THC) ovvero il mancato rispetto del principio di proporzionalità del sequestro, laddove il vincolo abbia ad oggetto tutta la sostanza stoccata e non anche singoli campioni, di per sé sufficienti a fornire la prova del tenore del THC della merce.

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La decisione della Suprema Corte

I Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza in commento, confermano il sequestro della sostanza sulla base del principio di diritto espresso dalle Sezioni unite nel 2019, secondo il quale la commercializzazione al pubblico di infiorescenze, anche con un principio attivo inferiore allo 0,6%, integra il reato di spaccio di cui all’art. 73, d.P.R., n. 309/1990. Ne consegue che appare giustificato il sequestro probatorio poiché è necessario stabilire se la sostanza abbia, e in che misura, efficacia drogante o psicotropa, «e cioè un contenuto di THC superiore allo 0,2%».

Inoltre, quanto al profilo della proporzionalità, la Cassazione rileva che, «sussistendo sulla scorta delle prime risultanze analitiche un fumus dell’ipotizzato reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, in caso di accertamento positivo dell’efficacia drogante delle sostanze in sequestro, esse andrebbero non solo considerate corpo del reato ai sensi dell’art. 253, comma 2, c.p.p. ma anche cose intrinsecamente delittuose da sottoporre necessariamente a confisca ai sensi dell’art. 240, comma 2, c.p.».

Qualche osservazione critica

Il caso sottoposto alla Suprema Corte è caratterizzato dall’assenza di analisi sulla sostanza in sequestro, sicché il vincolo appare giustificato proprio per la necessità di effettuare tali accertamenti. Tuttavia, v’è un passaggio della motivazione della sentenza sopra ritrascritto che merita un approfondimento, poiché “sembra” affermare che l’efficacia drogante o psicotropa ricorra al di sopra della soglia dello 0,2% di principio attivo. Pur trattandosi di un cosiddetto obiter dictum(cioè di un’affermazione che non può costituire un precedente, per così dire, vincolante), vale la pena ricordare che altre decisioni – sempre incidentalmente – hanno affermato, invece, che tale soglia si attesti sullo 0,5% di THC, così come afferma la più accreditata scienza tossicologica.

Inoltre, se è vero che il sequestro è necessario per stabilire il tenore del THC, il rispetto del principio di proporzionalità, a nostro avviso, dovrebbe assicurare al coltivatore la sopravvivenza della sua attività imprenditoriale: sequestri prolungati per mesi e effettuati senza campionamenti della sostanza rischiano, infatti, di tradursi in un’espropriazione velata.

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