La particolare tenuità nel reato di coltivazione di sostanza stupefacente
L'assoluzione per la particolare tenuità del fatto. L'art. 131 bis c.p. ed il reato di coltivazione.
Si tratta di un’ipotesi particolare di proscioglimento che, nei reati in materia di stupefacenti, può trovare applicazione, anzitutto, a condizione che la condotta coltivativa sia stata qualificata di lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990. Infatti, soltanto in quest’ultimo caso la pena prevista non supera nel massimo i cinque anni.
Lo stesso legislatore si è preoccupato di precisare che l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. Del pari, è stato espressamente formulata la definizione di comportamento abituale; tale è quello dell’autore che sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza o che abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, è di particolare tenuità; ed è comportamento abituale anche quello di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Ebbene, per il reato di coltivazione sussiste il problema di qualificarlo, ai fini che ci interessano, come reato a condotta plurima o come reato a condotta singola, con la conseguenza che, nel primo caso, non potrà applicarsi l’art. 131 bis c.p. anche quando sulla base di una valutazione in concreto dei quantitativi ricavabili, delle caratteristiche della coltivazione, della destinazione del prodotto, e più in generale sulla base dei principi soggettivi ed oggettivi ricavabili dall’art.133 cod. pen., la condotta illecita sia sussumibile nel paradigma della particolare tenuità dell’offesa.
In effetti, se da un punto di vista naturalistico, la condotta coltivativa si compone di una serie di azioni ripetute nel tempo (così, ad esempio, Cass. 16 ottobre 2018, n. 1766), sotto il profilo giuridico-sostanziale il disvalore della condotta non si aggrava per il suo protrarsi, come avviene per tipici reati a condotte abituali, reiterate o plurime come nel reato di atti persecutori, nel quale certamente la gravità del fatto è maggiore per il ripetersi delle azioni moleste o violente.
Probabilmente questa considerazione sta alla base della giurisprudenza maggioritaria che non ha mai sollevato problemi ad applicare la norma in commento al reato di coltivazione, come è testimonianza la nostra esperienza, nella quale più volte i giudici hanno assolto i nostri assistiti proprio per la particolare tenuità del pericolo della coltivazione contestasta.
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