Il problema del consenso al prelievo ematico
Prima di qualsiasi attività medica – prelievo incluso – è necessario il consenso informato del paziente, a meno che questi non si trovi in condizioni di incoscienza e versi in stato di necessità.
Questo principio, assolutamente indiscusso, entra in (apparente) frizione con la massima giurisprudenziale secondo la quale: «i risultati del prelievo ematico, effettuato durante il ricovero presso una struttura ospedaliera pubblica a seguito di incidente stradale, sono utilizzabili nei confronti dell’imputato per l’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza, restando irrilevante, ai fini dell’utilizzabilità processuale, la mancanza del consenso».
Da qui, infatti, nasce la confusione attestata dai tantissimi procedimenti penali in cui la difesa, sostenendo l’assenza del consenso del proprio assistito, si vede rispondere che proprio tale consenso non è necessario non essendo richiesto dall’art. 186, co. 5, cod. strada.
Il paradosso, in realtà, deve essere così spiegato: un conto è il consenso al trattamento medico – sempre necessario – ; un conto, invece, è il consenso all’accertamento del tasso alcolemico sul sangue già prelevato dal sanitario. Per quest’ultimo, come afferma la giurisprudenza e come, del resto, afferma la norma di legge, non è richiesto alcun consenso.
Deve, in conclusione, tenersi distinto il piano del diritto dell’individuo alla scelta consapevole di essere sottoposto ad atti potenzialmente lesivi della sua integrità fisica – per i quali è sempre necessario il consenso – , da quello più strettamente correlato al suo diritto di difesa.
Se, in futuro, per accertare il tasso alcolemico non ci sarà bisogno più di effettuare un atto medico invasivo, allora potrà prescindersi completamente dal consenso dell’interessato; ma fin quando ciò sarà subordinato al prelievo ematico, allora non può escludersi il necessario consenso informato.
Del resto, la previsione del rifiuto quale nucleo di un illecito penale dimostra che l’interessato è chiamato a prestare il proprio consenso all’atto, perché solo su tale presupposto è ipotizzabile un rifiuto.
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