Alcune riflessioni sul sequestro di Cannabis light

Gran parte della filiera della Cannabis Sativa L. (c.d. cannabis light) è legata al commercio all’ingrosso – soprattutto all’estero – delle infiorescenze.

Si tratta di un mercato che muove numeri significativi a livello occupazionale, nonché in termini di indotto, ricavi e tasse versate allo Stato. Eppure l’inadeguatezza della legislazione unita all’incertezza della sua applicazione, lasciata spesso all’arbitrio degli organi di giustizia, sta spingendo molti imprenditori a trasferirsi all’estero con evidente danno per il sistema Paese.

Senza contare, e non è poco, i danni personali per chi, pur volendo fare impresa regolarmente, è costretto a subire procedimenti penali che, pur terminando con provvedimenti di archiviazione o assolutori, sono accompagnati dal sequestro della merce che resta così immobilizzata per mesi con evidenti danni economici.

I problemi che l’imprenditore e l’avvocato devono affrontare sono essenzialmente tre:

1) confrontarsi con la decisione delle Sezioni Unite (la n. 30475/2019) che ha stabilito la rilevanza penale della commercializzazione al pubblico delle infiorescenze della cannabis light, aggiungendo poi, salvo l’inoffensività della condotta;

2) confrontarsi con il tema dell’efficacia drogante della sostanza;

3) gestire il sequestro della merce cercando, previa dimostrazione della liceità dell’attività intrapresa, di ottenerne la restituzione per evitare che possa deteriorarsi al punto di diventare inservibile per l’imprenditore.

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Avendo già parlato delle prime due questioni in altri articoli, vogliamo invece soffermarci sulla terza, anche perché è il problema più grave che affligge l’imprenditore, costretto a vedere – a seconda dei casi – la sua attività a rischio di default laddove il sequestro riguardi ingenti quantitativi di merce.

Nella nostra esperienza, salvo che il sequestro non abbia marchiani vizi procedurali, senza l’immediato riscontro di analisi tossicologiche che possano confermare il tenore del THC entro la soglia dello 0,5%, proporre impugnazione dinanzi al Tribunale del Riesame rischia di risolversi in spreco di risorse e tempo. Riteniamo più utile interloquire con la Procura per sollecitare le analisi di laboratorio, in alcuni casi disposte nel contraddittorio con l’indagato, e chiedere poi – laddove si confermi l’assenza di capacità drogante – il dissequestro al Pubblico Ministero, salva l’eventuale impugnazione dinanzi al G.I.P. in caso di rifiuto.

L’iter da seguire, tuttavia, può presentare molte difficoltà, a partire dalle tempistiche con le quali vengono effettuate le analisi per conto della Procura: certo è che il colpevole ritardo, risolvendosi a nostro avviso in una illegittima protrazione del sequestro, può essere portato all’attenzione del Giudice, o sotto forma di richiesta di incidente probatorio o, in alcuni casi, sempre dopo il rigetto del P.M., sotto forma di impugnazione del persistere del vincolo sulla merce.

Il consiglio resta sempre quello di evitare il più possibile l’origine del male: vale a dire intraprendere l’attività con la massima trasparenza, non soltanto contabile e amministrativa, ma in concreto nel momento del controllo da parte delle Forze dell’Ordine, organizzando il magazzino in modo tale da rendere evidente la tracciabilità della merce e la sua liceità con analisi commissionate in proprio e fornite dal produttore.

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